La pace non è impossibile, bisogna volerla

Papa Francesco ha più volte affermato una tremenda verità: il mondo sta combattendo la terza guerra mondiale a pezzi. A parte le guerre in corso tra russi e ucraini e tra israeliani e iraniani, sulle quali è polarizzata l’attenzione dei media internazionali, sono diverse decine i Paesi segnati da conflitti.

In Somalia si combatte dal 2009, in Siria dal 2011, nello Yemen dal 2014 e via via in altre nazioni: Gabon, Colombia, Ecuador, Turchia (contro i curdi), Darfur, Kashmir, Congo (Kivu), Sudan, Nigeria, Transnistria, Birmania, Caucaso settentrionale, Camerun, Niger, Venezuela, Afghanistan, Mali, Yemen, Messico (Chiapas), Libano.

Leggiamo dal settimanale Vita che « tra l’8 Dicembre 2022 e l’8 Dicembre 2023 ci sono stati 151.767 eventi conflittuali nel mondo che hanno provocato oltre 165.574 morti (con un crescita del 27% dell’indice di violenza politica nel 2023 rispetto al 2022). Già, ma dove? Dei 240 Paesi monitorati da Acled (Armed Conflict Location and Event Data), oltre i 193 riconosciuti dall’Onu, in 161 si è verificato un episodio riferibile a eventi conflittuali, in un anno. Più nel dettaglio, a oggi sono 50 i Paesi con indici di conflitto estremi, elevati o turbolenti».

Nella categoria “evento conflittuale” Acled fa rientrare: battaglie, rivolte, proteste, violenze contro civili, scontri armati, attentati. Come si vede un campionario di violenza che coinvolge miliardi di persone.

È disarmante come gli uomini, o meglio, le élite che governano i cosiddetti Paesi più progrediti non abbiano imparato nulla dalla storia e dalle atrocità inutili fatte patire ai popoli ogni volta che hanno scatenato guerre. Dal 6 Agosto 1945, con l’esplosione della prima bomba atomica su Hiroshima, l’umanità ha accertato che è in grado di autodistruggersi. Portare all’estremo un conflitto fra potenze nucleari significa oggi far tornare gli uomini (quei pochi che sopravvivono) all’età della pietra.

Il 24 Agosto 1939, pochi giorni prima dell’inizio della II Guerra mondiale, Pio XII lanciava un radiomessaggio ai governanti e ai popoli in cui, tra l’altro, diceva «È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. E gl’imperi non fondati sulla Giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono.

Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo.

E si sentiranno grandi — della vera grandezza — se imponendo silenzio alle voci della passione, sia collettiva che privata, e lasciando alla ragione il suo impero, avranno risparmiato il sangue dei fratelli e alla patria rovine. (…) Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e nel lavoro».

Ecco Mark Rutte, segretario generale della Nato e i leader occidentali di Usa, Francia, Gran Bretagna e Germania dovrebbero meditare sul radiomessaggio pontificio e farne propri i contenuti per terminare il conflitto con la Russia giunto ormai ad un livello fin troppo pericoloso. Allo stesso modo va perseguito un accordo con il mondo arabo in cui sia realisticamente garantita la sicurezza ad Israele. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra.

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